Ci vuole l’aiuto di tutta la città, per far crescere un albero e un bambino!

“Salvare la citta”
organizzazione collettiva urbana a basso costo.

In tempi di crisi finanziaria ed economica, le città sono diventate luoghi di misure di austerità drastiche e di ritenuta fiscale permanente, mentre al contempo le entrate fiscali sono in calo e aumentano i fallimenti e i tagli crescenti ai servizi pubblici.

Per “salvare la città”, Jamie Peck sostiene che l’imperativo di “tagliare e salvare” e “lavorare per il tuo debito” sono il risultato delle politiche urbane, quali l’adeguamento strutturale, le privatizzazioni, i partenariati pubblico-privato, e i tagli alle spese sociali (Peck, 2012).
Mentre accordi istituzionali esistenti basati sul collettivismo sociale/statale dei sistemi redistributivi sono in diminuzione, si é sviluppata una proliferazione di pratiche urbane collettivamente autorganizzate.

Alla luce di questi sviluppi, gli abitanti delle città stanno lavorando in modo creativo con la scarsità urbana per sviluppare nuove forme di organizzazione della città parallele e/o in contrasto alla centralizzazione dell’infrastruttura basata sullo stato e sono costretti a farlo con un budget bassissimo.

Queste strategie di sopravvivenza urbana includono già:

- car sharing/car pooling: un modo differente dalla proprietà privata per condividere l’auto; il co-housing, un modo di abitare con spazi e servizi condivisi tra persone amiche o conoscenti;
- bike sharing: condivisione della bicicletta per brevi percorsi che separano la fermata del mezzo pubblico alla destinazione finale dell’utente, a Torino abbiamo visto un reale successo e un incentivo all’uso dei mezzi pubblici;
- couchsurfing un modo di viaggiare attraverso reti di ospitalità online, invece di usare la sistemazione in albergo;
- coworking un metodo per sviluppare il “fai da te” all’interno di laboratori condivisi che si ispirano all’opensource e all’openhardware con l’obiettivo di consentire la realizzazione delle proprie idee e trovare gli strumenti per realizzarle;
- recycling acquistando nei negozi che vendono prodotti di seconda mano, come forma alternativa al consumo di massa e alla devstante cultura dell’usa e getta;
- agricoltura urbana finalizzata ad incrementare la disponibilità di cibo per gli abitanti della città; le cooperative di giardinaggio, attività sociali finalizzate all’inserimento lavorativo di persone “svantaggiate”;
valuta locale (arcipelago Scec) gruppi sperimentali volti a drenare il denaro dalle grandi reti delle corporation;
- GAS gruppi di acquisto solidale dove il consumo critico dove far coincidere l’etica del mrcato mettendo al centro relazioni e persone;
- up-cycling recupero di acque reflue e rifiuti, e varie altre forme di riutilizzo e ri-valorizzazione delle risorse urbane tra queste anche il recycling;
- Km0 la costituzione di nuove forme di commercio che utilizzano prodotti geograficamente contingenti alla città, biologici, che offrono prodotti sfusi;

e poi ci sono molti gli artigiani,  i laboratori di piccole riparazioni e recupero di oggetti vari, tra cui elettronica, biciclette, oggetti casalinghi; l’autoproduzione di detersivi, di cosmetici naturali, di pane… e ogni attività che promuove il ben essere, come i negozi più leggeri che vendono solo prodotti sfusi, tutti quelli che operano in un ottica sistemica, in grado di vedere l’insieme e il futuro del pianeta.

La città è composta da molteplici forme di organizzazione e la formazione di soluzioni alternative a basso budget decentrate e locali, significa allontanarsi sempre di più dalle forme costrittive centralizzate e top-down.

Un salvataggio collettivo auto-organizzato dove i cittadini vengono coinvolti in incontri complessi, connessioni e miscele di diverse reti ibride tra uomini, animali e vegetazione, oggetti e informazioni, merci e rifiuti. (The-New-Mobilities-Paradigm-Urry)

Vediamo emergere nuove culture di frugalità e di condivisione (Botsman e Rogers, 2010; Doherty e Etzioni, 2003), in grado di creare nuove forme economiche che hanno effetti a lungo termine sullo spazio urbano.

La loro comparsa pone nuove domande riguardanti il rapporto esistente tra queste pratiche autorganizzative e lo Stato, tra le responsabilità e i doveri dei cittadini con l’economia globale, ci si interroga su come si farà nel lungo termine ad alleviare e sostituire la responsabilità dei sistemi statali a favore della urbanistica imprenditoriale verso quelle auto-organizzate (La crisi della modernità, Harvey David, 1989) e quali sono i suoi effetti in termini di processi di gentrificazione, frammentazione urbanistica e la perdita di comunanze urbane (Città e comunicazione. Spazi elettronici e nodi urbani, Graham e Marvin, 2001); (Il capitalismo contro il diritto alla città. Neoliberalismo, urbanizzazione, resistenze Harvey David, 2012).

Mentre queste pratiche trasformano l’ambiente urbano, le motivazioni per cui le persone e le comunità implementano nuove forme di organizzazione e di bilancio non sono così chiare a tutti.
Tali pratiche sono l’espressione di una mancanza di mezzi materiali e di astinenza imposto, ma anche manifestazioni di decisioni consapevoli per risparmiare denaro e risorse. Molto semplicemente, queste pratiche possono verificarsi per necessità e/o scelta.

Ciò che queste attività hanno in comune è che portano ad una nuova consapevolezza della scarsità, e nel ricercare soluzioni a basso costo principalmente nella produzione locale, costruiscono nuove forme di valore, altre misure di calcolo, cicli minori di scambio e di coordinamento fondando organizzazione collettive sulle basi del principio frugale del vivere.

Tali pratiche di risparmio impegnano i protagonisti  in un bottom-up (dal basso verso l’alto) improvvisato, flessibile, (Britain’s Cities, Geographies of Division in Urban Britain, Michael Pacione 1997), che crea forme di solidarietà e di cooperazione nuove in ambito urbano.

In che misura queste pratiche che un tempo venivano circosritte strettamente ad un fenomeno borghese, non costringono gli abitanti delle città in economie sotterranee e illegali?

Qui, siamo meno interessati all’analisi delle politiche top-down e la governance della città, ma chiediamo come vivere in città in queste circostanze.

Quali nuove forme urbane di organizzare emergono sulla base di pratiche quotidiane di risparmio in città?

Come sono quotidianamente colpiti da condizioni di austerità urbanistica e quali sono le pratiche auto-organizzate e cooperative che le persone sviluppano in tali circostanze?
Quali sono i sistemi di reciprocità e redistribuzione da costruire in questa epoca di austerità?
Quali sono le responsabilità dei cittadini per la città in cui vivono?
Quali sono le politiche progressiste bottom-up, e le iniziative di networking?
Quali urbanità alternative?

A tal fine, chiediamo contributi, da un punto di vista teorico ed empirico, che analizzino criticamente le pratiche, gli oggetti, i discorsi e le storie che informano sulle nozioni di “urbanità a basso costo” della nostra città, in questo caso Torino.

Diamo il benvenuto a tutti contributi che provengono dall’ampio studio dell’urbanistica, dell’organizzazione collettiva – ad esempio dagli studi di gestione e di organizzazione – della geografia umana, studi urbani, teoria urbana, urbanistica, antropologia sociale, sociologia,  contabilità, teoria politica – con particolare attenzione – per la materia e per l’economia sociale di pratica urbana frugale. Sarebbe opportuno mappare oltre che la biodiversità già esistente, ogni orto, ogni spazio abbandonato, ogni risorsa che possa venir trasformata in bene comune.
La permacultura é la base su cui fondiamo la visione sistemica di questo progetto

I possibili argomenti includono, ma non sono limitati a quanto segue:

  •  Prospettiva antropologica sulle pratiche quotidiane di risparmio in città
  •  Calcolo di un low- budget per sopravvivere in città
  • Come nuove pratiche emergono da lotte politiche (ad esempio, Reclaim the streets, giardinaggio collettivo, guerrilla gardening.
  • Organizzazione collettiva / imprenditorialità collettiva, cooperative, consorzi.
  • Nuove pratiche che aiutano a tracciare le traiettorie storiche della vita urbana a basso budget;
  • Il modo in cui le persone svolgono un bilancio e la materialità che circonda questa prestazione
  • Le reti e le comunità che creano una urbanità alternativa
  • Politiche di risparmio del denaro
  • Forme alternative di organizzazione collettiva della città
  • Condivisione e scambio
  • Parsimonia, frugalità, risparmio consapevole, semplicità volontaria
  • Riciclaggio, up- cycling
  • Buone maniere
  • Utilizzo di basse risorse

Tutti i contributi che sono benvenuti, possono essere inviati:
info@biomaurbano.it

 

Riferimenti bibliografici per approfondire:

Bialski, P. (2012) Becoming intimately mobile. Warsaw studies in culture and society. Warsaw: Peter Lang.

Brenner, N., P. Marcuse and M. Mayer, (2012) Cities for people, not for profit: Critical urban theory and the right to the city. London: Routledge.

Botsman, R. and R. Rogers (2010) What’s mine is yours: The rise of collaborative consumption. New York: HarperBusiness.

Brodersen, S. (2003) Do-it-yourself work in North-Western Europe. Copenhagen: Rockwool Foundation.

Bude, H., T. Medicus and A. Willisch (2011) ÜberLeben im Umbruch: Am Beispiel Wittenberge: Ansichten einer fragmentierten Gesellschaft. Hamburg: Hamburger Edition.

Doherty, D. and A. Etzioni (2003) Voluntary simplicity: Responding to consumer culture. Oxford: Rowman and Littlefield.

Drotschmann, M. (2010) ‘Baumarkt 2.0. Do-it-yourself, Youtube und die Digital Natives’, Journal of New Frontiers in Spatial Concepts, 2: 18-27.

Graham, S. and S. Marvin (2001) Splintering urbanism: Networked infrastructures, technological mobilities and the urban condition. London: New York: Routledge.

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Venkatesh, S. A. (2006) Off the books: The underground economy of the urban poor. Chicago: Harvard University Press.

Articolo tradotto tratto da qui

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